19.1.08

La strage silenziosa dei lavoratori cinesi


Di Vittorio Strampelli - Pubblicato su MenteCritica

Vivere gomito a gomito con la morte. Salutare la propria famiglia al mattino e trascorrere la giornata nel terrore di non riuscire a tornare a casa con le proprie gambe. E’ questa la realtà con cui sono costretti a fare i conti ogni giorno i lavoratori della Repubblica Popolare Cinese, un Paese in cui termini come “sicurezza sul lavoro”, purtroppo, non rientrano ancora nel vocabolario di uso comune.
Solo nell’ultimo fine settimana, infatti, almeno undici persone sono morte mentre stavano svolgendo il proprio lavoro. Minatori, costretti a turni e condizioni lavorative al limite dell’umana sopportazione: sei di questi (di un settimo sono ancora in corso le ricerche) sono stati arsi vivi sabato scorso a oltre cento metri di profondità, in seguito a un incendio divampato in una cava di carbone nello Jiangxi, periferia orientale del Paese, mentre altri cinque corpi senza vita venivano recuperati dopo l’allagamento di un canale in un’altra miniera, nella provincia sudorientale dello Sichuan.
Ha un bel dire il governo cinese, che ha recentemente reso noti i dati ufficiali per il 2007, in base ai quali nell’anno scorso il numero di incidenti nelle cave di estrazione si è ridotto di un quinto: preso in valori relativi, un calo del 20 per cento potrebbe sembrare un ottimo traguardo. Ma le cifre assolute sono agghiaccianti: 3,786 morti solo nel 2007 e solo in miniera. Un bel progresso, diranno cinicamente alcuni, visto che appena due anni prima, nel 2005, di minatori morti se ne erano contati quasi seimila, stando a quanto riferisce l’agenzia di stampa cinese Xinhua.
E la tendenza al miglioramento, se è per questo, non è iniziata solo due anni fa: se nel 2002 ogni milione di tonnellate di carbone costava la vita cinque persone, nel 2007 il “prezzo” era sceso ad appena una persona e mezzo. Anche qui, un dato relativo ha il potere di mistificare la realtà: 1,5 persone morte ogni milione di tonnellate di carbone sembra infatti poca roba, se non fosse che nel Paese – il cui fabbisogno energetico dipende al 70 per cento dal carbone – soltanto l’anno scorso sono stati estratti 2,52 miliardi di tonnellate di carbone, tutti da minatori egualmente sfruttati e sottopagati.
La verità è che quella delle morti sul lavoro resta una piaga in Cina, un Paese abitato da quasi un miliardo e mezzo di esseri umani, e in cui qualunque statistica appare spropositata rispetto ai numeri cui siamo abituati nel mondo occidentale. Solo nel 2007, più di 100mila persone sono morte in incidenti legati al lavoro in generale: ed è andata anche meglio del 2006, fa sapere il governo della Repubblica Popolare.
Così, solo qualche giorno fa, Li Yizhong, responsabile nazionale della sicurezza sul lavoro, rivendicava i buoni risultati della campagna di sicurezza lanciata dal governo, nonostante numeri che restano da ecatombe, conseguenza di uno sviluppo economico inarrestabile che sta facendo pagare prezzi altissimi dal punto di vista sociale. Vari sono stati, negli ultimi due anni, i regolamenti sulla sicurezza nei posti di lavoro approvati dal governo. La loro applicazione continua però a essere molto blanda, e i colpevoli, nella stragrande maggioranza dei casi, non vengono perseguiti: per restare al caso delle miniere, nel 2006, il 95% dei funzionari del Partito implicati nelle proprietà di cave ove si sono verificati incidenti mortali è stato prosciolto.
Inoltre, i dati “ufficiali” forniti dal governo cinese circa gli incidenti sul lavoro risultano poco attendibili, perché molte morti non vengono denunciate per evitare la chiusura degli stabilimenti estrattivi, come prescriverebbe la legge. Ecco spiegato perché, secondo statistiche indipendenti, i soli morti in miniera sarebbero non tre o quattromila l’anno, bensì più di 20mila.
Non osiamo neppure immaginare le cifre “reali” delle vittime del lavoro complessivamente inteso: il sindacato clandestino ne stima (per difetto) oltre 130mila l’anno, più di 350 ogni giorno, mentre almeno sei milioni di lavoratori e lavoratrici cinesi subiscono ogni anno danni biologici irreversibili a causa della totale assenza di misure di sicurezza.


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