20.1.10

Sociofenomenologia dello sci

Diciamocelo, sciare è una tortura.

Si parte la mattina prestissimo, digerendo un freddo abominevole e vestiti come degli omini gonfiabili, si percorrono chilometri su chilometri in autostrada dove l’unica cosa positiva è il paesaggio, sempre che lo si veda per assenza di nebbia.

E finchè si è in autostrada va tutto bene, perchè poi cominciano i tornanti e la colazione presa alle 6 di mattina comincia a farsi pesantemente sentire. Anche la testa non ne giova, vivendo un vuoto più grave rispetto al solito.

Poi finalmente si arriva, si saggia il freddo che è aumentato, si cerca parcheggio in una nuvola nera di petrolio e CO2, perchè tutti hanno avuto la stessa idea, cioè quella di usare una giornata di riposo in quel modo quantomeno curioso. Si va al noleggio, dove dopo una fila la cui unità utilità è quella di fornire il tempo per prepararsi psicologicamente a quelli zoccoli duri che sono gli scarponi da sci, finalmente gli omini montani e gentili ti servono. Si provano gli scarponi con la speranza che la tecnologia sia progredita sfornando qualche modello più leggero dei soliti 5 chili e un pò più comodo, e invece niente! Poi ti danno gli sci, quelle lamine ovviamente scomode da trasportare su cui ci si illude di rimanere in piedi in scioltezza in qualsiasi situazione.

Consegni il documento, paghi, ed esci, e ti accorgi che quegli scarponi orribili da 5 chili non sono neanche costruiti in modo da resistere sul ghiaccio. E’ come avere del burro sotto i piedi, non tengono e si rischia di cadere ad ogni passo, mentre ovviamente si tenta di tenere sollevati gli sci (ma perchè non ne inventano di pieghevoli?)

Poi arriva il meglio: quando ci si mette gli sci si realizza che rispetto all’ultima volta in cui si era provato a sciare (nel mio caso anche la prima) non solo non si è magicamente migliorati, ma addirittura è peggio! E allora conviene prepararsi alla tortura che durerà l’intero giorno (grazie al cielo il sole d’inverno tramonta prima).

Si comincia non con la pista baby, ma con quella lattanti, cioè per intenderci non quella blu, ma quella azzurra pastello, e sarebbe meglio il bianco sporco. Ogni minidosso è un pericolo difficile da arginare, come ogni centimetro quadrato di ghiaccio. Per giunta per risalire c’è lo skilift, quindi non solo si lotta contro le forze della natura per scendere ma anche per salire!

Però dopo una o due volte si scende con la sicurezza di arrivare vivi in fondo, e allora quasi ci si diverte. Al che puntualmente i simpatici amici dicono “ma dai grande, ci riesci, vieni su a 2000 e passa metri, poi li c’è un’altra pista azzurra, noi andiamo a fare un giro per altri 10 paesi qui intorno, tu intanto rimani li poi scendiamo insieme!” Al che la domanda ovvia è “ok, ma per tornare proprio qua sotto?” “Eh c’è la panoramica, è lunga, però è azzurra! E’ un pò stretta, però è azzurra!”

Dopo notevoli insistenze ti fai convincere, scopri che effettivamente li c’è una pista azzurra in cui si risale con un tappeto mobile che puntualmente inchioda perchè non si sa come ma qualcuno è caduto. Ti alleni intensamente provando a stare con gli sci dritti in ogni punto della curva -che dev’essere rotonda-, a frenare per bene cercando di sforzare le ginocchia il prima possibile.

Poi arriva il grande momento, quello della discesa per la panoramica. Panoramica perchè si può scegliere: a sinistra precipizio, a destra il bosco! E’ perfetto! Stretta significa che più che una pista è un corridoio, praticamente metti gli sci di traverso e occupi tutta la pista! Per giunta è tutto il giorno all’ombra, quindi è totalmente ghiacciata. Ovviamente, siccome serve per scendere dal punto più alto del comprensorio, c’è pieno di fenomeni che sfrecciano da tutte le parti, incuranti del burrone e dei tronchi. Secondo me si chiama panoramica perchè il paesaggio lo devi guardare e non toccare, che se lo tocchi tanti auguri. Questo biscione è lungo 5 chilometri, e ovviamente i punti più stretti sono anche in curva, più pendenti, più ghiacciati, e con un sacco di gente che rallenta e quindi si assembla li. Basta perdere il controllo un attimo e si fa uno strike da 200 punti!

Quindi è così: si va a spazzaneve di traverso, frenando per andare a non più dei 5 all’ora, senza mai curvare per non andare mai verso il precipizio, con le gambe che tremano dalla fatica, cercando di evitare le lastre peggiori e cercando di stare in piedi sempre per il succitato strike. Si arriva in fondo che non si è neanche grati di essere vivi, perchè non si sa se le gambe sono ancora li presenti all’appello, e si ringrazia che la giornata è quasi finita! Giusto in tempo per accorgersi che si è sudati e in macchina il freddo si farà sentire…

Però se per un attimo si sente il profumo dei pini e l’aria benevola si capisce che forse ne vale la pena.

E allora per non rischiare di dover saltare una vacanza in montagna con gli amici ci si impunta e si dice “no, io devo imparare”, e ci si prepara psicologicamente alla prossima tortura, sperando nell’aiuto di un maestro che questa volta era occupato con qualcun altro.

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