5.7.08

Huzaifa Parhat, cinese: Liberatelo, trasferitelo, aprite un nuovo processo. Ma non lasciatelo a Guantanamo, perché non ha colpe


Vi ricordate di quando avevo parlato dei presunti attentati in Cina ad opera dei separatisti Uighuri? Vi ricordate che c'era quella strana coincidenza, cioè che dopo che la Cina aveva dichiarato guerra al "terrorismo islamico" gli Stati Uniti l'avevano cancellata dal loro "libro nero"?
Bene, adesso Il Manifesto riporta la storia di uno di questi Uighuri detenuto senza aver avuto un reale processo a Guantanamo. L'articolo è di Matteo Bosco Bortolaso, l'ho trovato sul blog Pensatoio.

Liberatelo, trasferitelo, aprite un nuovo processo. Ma non lasciatelo a Guantanamo, perché non ha colpe. Secondo la corte d'appello federale di Washington, Huzaifa Parhat - rinchiuso nella famigerata prigione cubana per più di sei anni - non è un enemy combatant, un combattente nemico pericoloso per gli Stati Uniti. La decisione arriva dopo pochi giorni da una storica sentenza della Corte Suprema su Guantanamo ed è la prima del suo genere. Più di 190 detenuti hanno fatto appello per scrollarsi di dosso la terribile etichetta di enemy combatant, che equivale ad una condanna indefinita nel carcere cubano.
I tre giudici di Washington - David B. Sentelle, Merrick B. Garland, Thomas B. Griffith - hanno deciso che Parhat, il primo detenuto di cui si è discusso, deve riavere la libertà, o almeno un giusto processo. Il prigioniero è uno uiguro, un musulmano originario del nordovest della Cina. Parhat sarebbe legato al movimento islamico del Turkestan orientale, che chiede l'indipendenza da Pechino. Il gruppo musulmano, secondo Washington, ha legami con al Qaeda. Per questo motivo Parhat, un ex venditore di frutta, era stato arrestato in Afghanistan nel 2001, dopo l'attacco a New York e Washington.
Con quale accusa? «Si stava addestrando in un campo di terroristi nella regione di Tora Bora, dove gli uiguri espatriati dalla Cina si esercitano con armi di piccolo calibro», si legge nelle carte di Guantanamo. Il campo, secondo gli inquirenti, sarebbero stato fondato dai talebani, se non addirittura da da Osama bin Laden.
Lo stesso governo degli Stati Uniti, però, ha riconosciuto che i prigionieri uiguri a Guantanamo non sono una minaccia per l'America. Forse il campo d'addestramento c'era, ma l'obiettivo poteva essere Pechino. Non Washington. La vicenda, però, non è affatto chiara. Della storia di Parhat non si sa molto. Pochi dati dal database del carcere. Numero seriale di internamento: 320. Luogo di nascita: provincia di Ghulja, nella regione «autonoma» cinese dello Xinjiang. Data: 11 febbraio 1971. A Guantanamo indossa un'uniforme beige, segno che è stato classificato come «livello uno», un prigioniero dalla buona condotta. La famosa uniforme arancione vuol dire invece detenuto «neutrale», quella bianca «crea problemi».
I giudici non possono discutere in pubblico i dettagli della storia del prigioniero, coperti dal segreto militari. I magistrati, comunque, hanno promesso che pubblicheranno una versione ridotta dei documenti processuali.
Quel che è certo e già pubblico è che la corte chiede al governo che il prigioniero venga liberato: contro di lui non sono state prodotte abbastanza prove. «È un giorno straordinario, è una corte molto conservatrice - commenta a caldo Sabin Willet, l'avvocato del detenuto - Parhat non può nemmeno conoscere questa decisione perché si trova in isolamento».
«È il primo caso che si muove in avanti - sottolinea David Cole, professore di legge costituzionale alla Georgetown University a Washington - stiamo parlando di qualcuno che i militari hanno trattenuto per sei anni e la corte federale ora dice che non doveva essere imprigionato». «Senza un controllo giudiziario indipendente - continua il professore - sarebbe potuto rimanere lì per altri 10, 15 anni. Ora ha un'occasione per cercare la libertà».
Ma l'occasione per la libertà non è assicurata. Ci sono non pochi problemi tra i 17 uiguri rinchiusi a Guantanamo e la Cina, il Paese che dovrebbe riprenderseli. Nel 2006, altri cinque uiguri furono trasferiti in Albania. Secondo Usa, in Cina li aspettava una brutta fine. Processati, se non peggio.
Che succederà a Parhat e ai suoi sedici compagni di sventura? Il dipartimento della giustizia ha fatto sapere che sta «studiando la decisione della corte e considerando le nostre opzioni». Secondo il Los Angeles Times, si tratta di un bel «mal di testa legale e diplomatico per l'amministrazione Bush, che non riesce a trovare un Paese che li accetti».
La decisione della corte federale è stata presa in base a un ricorso fatto secondo il Detainee Treatment Act, legge del 2005 che garantiva ai prigionieri una revisione giudiziaria sul loro status di enemy combatants. I diritti dei detenuti sono stati ampliati dalla recente decisione della Corte Suprema.


4 comments:

Luca Tittoni said...

.

Non commento altro.
Bacio, Sara, buon week end.
Luca

Anonymous said...

La ringrazio per Blog intiresny

Anonymous said...

molto intiresno, grazie

Anonymous said...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu